09 Feb Agnese Oberto Flashback. Galleria Papini – Via Bernabei 39, Ancona
Fino al 20 marzo 2022
NIENTE DI RETROSPETTIVO. MA UN CUORE VIBRANTE E CALDO
Entrando c’è subito un breve ma bel catalogo azzurro, splendidamente realizzato, nei testi, foto e grafica che ti costringe a raddoppiare l’attenzione. E poi il lavoro fantastico, multiforme multicolore di Agnese ti assale fin dai primi passi che porti avanti, nonostante lo spazio non enorme della Galleria, con una certa fatica e disorientamento. Trovi infatti non una storia, ma tante storie; tante immagini, segni, incisioni, sperimentazioni, fughe, e ritorni multipli. Grandi dipinti per lo più su legno, come “cavalli senza cavaliere”, 48×178, che misteriosamente sfrecciano avviluppandoti in turbini di zoccoli, di zampe, di musi contratti dalla velocità in un inconsueto duetto di gialli e di blu; mentre due abissali “in fondo al mare”, evocano forse altri pianeti, certamente altri mondi sconosciuti. Oppure no. Agnese Oberto ha anche un suo formidabile vizio di passare poi anche al dettaglio, alla riproduzione (anzi alla ripetizione), in chiave vagamente satirica, di piccoli animali, racchiudendoli stavolta in piccoli formati: una lumaca, poi un granchio e ancora una rana; tutto in un 23,5×23,5, costretti da fermi a mostrare il loro interno, come in una sorta di radiografia a contrasto tra il blù e il bianco, come nella rana che mostra la sua umanissima spina dorsale, mentre la lumaca fuoriesce dal guscio portando all’esterno la sua parte mobile, viscida e luccicante, con le sue lunghe corna spinte verso l’alto. Anche qui il gioco del negativo rende viva e pulsante l’apparente immobilità. E ancora animali, oltre agli adorati cavalli, e fiori, come i girasoli, stavolta a pennarello, leggermente reclinati sul punto di sfiorire (negli anni?); mentre riluce di un tenue ma tenace violetto “la mia clematide” (tempera su carta 50×36). Ma c’è anche uno splendido pappagallo che a fatica, ma ben saldo su una sola zampa, apre il becco con avidità. C’è sempre una gran fatica in questo bestiario (ma il termine è quanto mai improprio) della Oberto; si tratta di esseri sempre viventi, sempre palpitanti, sempre disponibili non alla resa ma a lottare per restare se stessi, mantenere la loro identità e che alla fine hanno sempre una scintilla di tenerezza e di bontà. Una filosofia ecologista che non si arrende, ma che cerca di appianare, illuminare, armonizzare. Certamente si tratta di una mostra da vedere più volte. C’è tantissimo da intuire se ci si lascia pacificamente condurre dalle molte opere esposte. Tra difficoltose e semplici, tra misteriose e limpide.
Come scrive con sincero amore Massimo Di Matteo, “ La mostra retrospettiva come un flashback intende recuperare e testimoniare le felici espressioni di un passato che argutamente o amorevolmente cercava di portare i suoi bagliori nel quotidiano…… dipinge per piacere e ricerca personale guardando soprattutto alla natura e al mondo animale che ritrae o reinventa in forme iconiche e fantastici colori. Le sue raffinate rappresentazioni – nella padronanza delle varie tecniche dove il segno mantiene l’emotività della ideazione e, non di rado, la sottile ironia dell’evocazione scenica – si impongono per la composizione studiata o il taglio particolare. Tranne la sua partecipazione nel 1966 alla collettiva “Il sacro nell’arte e i giovani” presso la galleria “L’Agostiniana” di Roma, la sua attività diserta l’esposizione in pubblico: nondimeno le sue opere sottendono un profondo sentimento ecologista e, nel tempo, l’unicità raffigurata del mondo naturale diventa simbolica e profetica. A metà degli anni ’90 una lunga malattia la porta ad accantonare colori e pennelli. Sopravvive invece l’abitudine di ritrarre gli umani e se stessa quali personaggi da vignetta come in un diario senza fine.”
Info: Galleria Papini
Immagini relative all’allestimento:
La locandina: